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Gli sbarchi a Lampedusa e in Sicilia non devono penalizzare i cittadini

Nelle ultime settimane, complice i problemi legati al Nord Africa, vi è stato un aumento vertiginoso degli sbarchi di clandestini sulle coste siciliane in generale e in particolare su quelle di Lampedusa.

Per inciso, questi sbarchi sono in minima parte di libici, mentre la maggior parte sono di tunisini e altre etnie il che può provocare problemi sia per lo smistamento di queste persone che per le pratiche di eventuale rimpatrio.
Al di là del problema umanitario che rappresentano questi profughi, ci troviamo di fronte anche ad un forte danno economico che vive la Sicilia in generale e l’isola di Lampedusa in particolare.
Il dano è duplice: da un lato bisogna fare fronte alle spese che comporta la gestione dei centri di accoglienza, dall’altro al danno verso i turisti che in misura sempre maggiore iniziano a disdettare le prenotazioni, mettendo a rischio una voce importantissima per l’economia della zona.

E con l’avanzare dell’estate questo danno diverrà sempre più tangibile, mettendo a dura prova la disponibilità e la generosità siciliana. Intendiamoci, nessuno vuole affermare che bisogna rifiutare i clandestini, o non accoglierli; ma è anche vero che non possiamo neanche ignorare i problemi che questi pongono e che spesso sono subiti dalla poolazione locale. Partendo da questa considerazione, credo che sia giusto farsi promotori di precise richieste verso il governo: non basta un provvedimento una tantum, ma bisogna quantificare il danno di immagine subito, e quanto sarà necessario investire per ricostituire l’immagine presso i turisti.
Bisogna quantificare quanto sarà il danno economico subito in questi mesi, e quanto verrà subito nei prossimi mesi.
E siccome questo problema, prevedibilmente, si rirporporrà con una certa frequenza nell’immeditao (perchè la regione del Nord Africa è bel lungi dall’essere normalizzata), bisogna non solo portare avanti una serie di compensazioni economiche per le popolazioni locali, ma anche elaborare un piano di plungo periodo per gestire al megli oquesto flusso migratorio.

Per quanto riguarda il primo punto, è fondamentale istituire, da un lato una “no tax area” per le imprese locali unito anche a dei rimborsi economici per le imprese turistiche e per la popolazione. E chiedo che siano rimborsi, perchè lo strumento del “credito di imposta” è uno strumento che non sempre è efficace: intanto per utilizzarlo bisogna che la azienda fatturi, e al momento molte aziende turistiche sono a rischio collasso se non avranno immissione di capitale fresco; inoltre il credito di imposta, spesso viene promesso, ma poi parte con notevoli ritardi.

Serve invece una forma di rimborso immediato, facilmente spendibile e che sostenga davvero l’economia di chi affronta e riceve questi imponenti flussi migratori.  Se non si agirà in questo modo, si rischia che le popolazioni di Lampedusa prima, e la Sicilia poi, paghino in prima persona subendo tutto il danno economico, contrariamente ad ogni principio di equità e giustizia.

Vorrei infine fare un appunto: in questo momento il Nord Italia è atterrito dall’ipotesi di essere “invaso” da questi clandestini. Capisco questa reazione, e proprio per questo motivo sostengo che l’Italia intera non può ignorare il problema, lasciando che sia la Sicilia a pagare per tutti, se si facesse ciò, il risultato sarebbe la saturazione del sistema, l’insostenibilità dei costi, e nessuno controllerebbe più i clandestini.

Il Padre Nobile….del figlio candidato

 La linea del nostro blog è sempre stata estranea dal prendere posizioni su persone o fatti che potessero denigrare singoli partiti o individui  ma non possiamo questa volta evitare di sottolineare un caso emblematico e che ci incute parecchio timore: lo spirito di autoconservazione della classe politica. E’ davvero triste che proprio in un momento in cui si parla tanto di ricambio generazionale, di terza repubblica, del dopo Berlusconi, le pagine dei giornali contengano ancora dichiarazioni da “prima repubblica”. Ecco che prevale lo spirito di autoconservazione che addirittura ti fa negare anche quello che avevi sostenuto qualche mese prima. Oggi, dopo decenni, ci ritroviamo a parlare di un soggetto, un grande soggetto politico, con una carriera a dir poco lodevole e a cui va la nostra solidarietà per aver subito una grave ingiustizia per esser stato arrestato e per esser stato anni in galera da innocente. Ma caro On. Mannino non possiamo essere noi a pagare per le ingiustizie commesse da altri, noi dai Padri Nobili ci aspettiamo di essere accuditi, cresciuti, sostenuti e poi essere lasciati….liberi, senza rancore, odio, timore di essere dimenticati. Noi dai Padri Nobili ci aspettiamo che parlino del nostro futuro, del futuro di tutti noi e non solo di quello dei propri figli. Questo ci saremmo aspettati da lei. Di certo non barattare il suo valore e la sua dimensione politica per due posti in lista, il suo e quello di suo figlio. Forse dovremmo augurarci di avere tutti parenti importanti per far strada in questa Italia o volete ancora prenderci in giro con l’ultima invenzione di un “nuovo” partito di Lombardo aperto ai giovani e alle donne? Conosciamo l’ennesimo specchietto per le allodole e rispediamo tutto al mittente. Caro On. Mannino, non ci importa difendere nessuno, ma anche i cavalli di razza vanno in pensione. Non si preoccupi, non rimangono soli, se è questo che teme. Chi ha un valore difficilmente viene dimenticato anche quando non ricopre posti autorevoli nè decide di farli ereditare a chi porta lo stesso cognome. Ci lasci lo spazio che meritiamo On. Mannino, lei e chi come lei, continua a pensare che la politica, le istituzioni, il posto in lista e in parlamento vi appartengano. Basta. Vi supplichiamo basta. Le macchine del tempo non sono mai esistite.

In Piazza per i nostri diritti ma a viso scoperto e mani libere

Domani dalle 9 alle 19 saremo a P.zza Politeama per raccogliere firme a sostegno di un disegno di legge regionale per l’occupazione giovanile. Con questo disegno di legge non rivendichiamo “il posto fisso” ma l’opportunità di poter costruire da noi il nostro futuro anche attraverso la realizzazione di nuove imprese e la costituzione di un fondo di garanzia che consenta ai giovani di accedere al credito. Saremo in Piazza per i nostri diritti ma a viso scoperto e mani libere perchè ItaliaUnder35 non condivide, e vuole dirlo apertamente, le recenti proteste violente che hanno visto come protagonisti tanti nostri coetanei. Non è questo il futuro che vogliamo, non vogliamo un futuro fatto di violenza, prevaricazione e distruzione e soprattutto non vogliamo essere ricordati per questo. Chi usa questi mezzi non aiuta la “causa generazionale”. Chi lotta per qualcosa di giusto lo fa senza nascondersi dietro una sciarpa e non ha bisogno di armi di alcun genere.

Dai beni sequestrati alla mafia, può nascere la speranza

La Sicilia è terra caparbia e genera uomini caparbi. L’ultimo esempio è sotto gli occhi di tutti e si chiama Consorzio Sviluppo e Libertà.
Nato su iniziativa della Prefettura di Palermo, circa 10 anni fa, il Consorzio ha svolto un ruolo decisivo nel recupero di beni e terreni (circa 700 ettari di terreno coltivabile) sequestrati alla mafia e localizzati presso otto comuni dell’Alto Belice, per essere precisi tra i comuni di Monreale, Corleone, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Roccamena, Altofonte, Piana degli Albanesi, Camporeale.

La gestione è demandata al collegio del consorzio, in modo da rendere vane le minacce mafiose al singolo sindaco e ha svolto un lavoro talmente buono che Pawel Samechi, commissario europeo per le Politiche Regionali , ha invitato i vertici del consorzio a raccontare la loro esperienza ai parlamentari europei, come esempio positivo di riutilizzo sociale ed economico dei beni strappati alla mafia.

Il consorzio fornisce lavoro a circa 100 persone e ha dato vita a varie cooperative e giusto per dare una idea dell’importanza anche economica di questa realtà, basti considerare che la cooperativa Placido Rizzotto nel 2008 ha prodotto 4.500 quintali di pasta biologica, 1800 ettolitri di vino, 300 quintali di legumi, 500 quintali di melone bianco, ricavando quasi 2 milioni di euro; la cooperativa Lavoro ha fatturato 600mila euro producendo passata di pomodoro, , caponata di melanzane e altri prodotti tipici, mentre le altre cooperative non sono state da meno (ad esempio la cooperativa più giovane di tutte, la coop Pio La Torre, ha fatturato 110mila euro).

Ma per realizzare tutto ciò ci volevano investimenti notevoli. E chi ha messo i soldi?

Il Ministero dell’Interno ha investito nel Progetto Sviluppo e Legalità € 3.778.389,77 di cui € 3.048.519,00 di Fondi FESR e € 729.870,77 di Fondi FSE, MENTRE LA REGIONE SICILIANA HA INVESTITO RISORSE PARI A € 1.515.000,00.

Tutto bene? Non tanto perchè poi LA REGIONE SICILIANA HA TOLTO NELLA FINANZIARIA REGIONALE DEL 2009 IL CONTRIBUTO STRAORDINARIO AL CONSORZIO, APPENA 85.000 EURO ANNUI PER IL TRIENNIO 2008-2010, mettendo così a rischio chiusura questa realtà.

Per fortuna, questo consorzio ha avuto accesso ai fondi nazionale del PON Sicurezza 2007-2013 e potrà sopravvivere e anzi espandersi ulteriormente, dando vita ad un ulteriore smacco alle forze della mafia, che tifavano per la sua chiusura.

Si capisce l’esigenza di risparmiare e procedere a dei tagli, ma allora sarebbe stato meglio, evitare di comprare per 2,6 milioni di euro, il quarto piano (circa 650 metri quadrati) di una palazzina a Bruxelles, per ospitarvi la sede di rappresentanza del Dipartimento affari extraregionali.

Ecco, forse era meglio tagliare questa spesa, e non mettere a repentaglio l’esistenza del consorzio Giustizia e Libertà, un faro nella lotta alla mafia, soprattutto, perchè utilizzare i beni mafiosi ha il duplice vantaggio di ridurre il potere della mafia e di creare sviluppo e lavoro per i cittadini onesti, come dimostra l’esempio di questo consorzio. 

Il video di “Giovani come sagome di cartone”

Giovani come sagome di cartone, materiale facilmente riciclabile, campagna elettorale dopo campagna elettorale, comizio dopo comizio. Noi giovani non siamo rappresentati sindacalmente, il nostro consenso non è controllabile, noi non scendiamo in piazza a manifestare per i nostri diritti. Questo ci rende “invisibili” agli occhi di chi avrebbe comunque il dovere di rappresentarci. Non importano i dati degli istituti di ricerca nazionali che in Sicilia registrano una crescente disoccupazione giovanile, questo non è in agenda politica. Noi non abbiamo tempo per protestare: tra uno sciopero e l’altro contro i tagli all’Università, molti studiano, altri lavorano chi nei call center chi come commesso in qualche attività commerciale con una busta paga di carta che poche volte coincide, quando c’è, con quella che ci ritroviamo in tasca. Nonostante questo i giovani siciliani non sono vittime, c’è chi per mantenersi agli studi lavora, nonostante non esista più alcun beneficio per gli studenti lavoratori. C’è chi dopo la laurea decide di andar via con la sua “valigia di cartone” che non è proprio la stessa del dopoguerra, anche quella piena di buona volontà e voglia di lavorare, le valigie dei giovani siciliani CREANO sviluppo perchè fatte di competenza, preparazione e idee che non trovano terreno fertile in questa terra. Questa terra, si, bellissima. Spezza il cuore guardarla dall’alto ogni volta che si parte e ci sentiamo in colpa quando crediamo di abbandonarla. Ecco noi non vogliamo abbandonarla, noi vogliamo crescere insieme a lei, ma qualcuno deve aiutarci e chi se non le istituzioni?

Ecco il video  “Giovani come sagome di cartone”  http://www.youtube.com/watch?v=ncrYuOHCmFk

Le trivellazioni in Sicilia: un argomento dimenticato

Dopo il clamore suscitato alcuni mesi fa sulle trivellazioni in Sicilia è calato il silenzio.
Come mai? Eppure è un argomento che dovrebbe interessare molte persone e che vede contrapposti non solo interessi di vario tipo, ma anche persone con diverse idee sul possibile sviluppo economico siciliano, visto che le riserve di petrolio e gas naturale siciliano sarebbero enormi (si parla di almeno il 15% del fabbisogno energetico nazionale, ma secondo alcuni esperti le riserve sono ancora più grandi).
Gli unici che stanno mantenendo un certo livello di guardia, sono i comitati Notriv che il 29 ottobre hanno lanciato una manifestazione nella Val di Noto, che però i media non hanno adeguatamente coperto, a mio avviso.

La posizione dei comitati Notriv, mi sembra che si possa riassumere nel volere chiudere definitivamente tutte le trivellazioni in territorio siciliano, in quanto, affermano che la Sicilia ha già dato molto in termini di distruzione del territorio, inoltre vi sono rischi oggettivi per tali attività che non possono essere annullati sotto una certa soglia. Inoltre affermano che la vocazione della Sicilia non passa dagli Idrocarburi ma dalle sue bellezze, dal clima, dalla Natura e dall’agricoltura di qualità e inoltre le energie rinnovabili sono dietro l’angolo e la loro diffusione capillare può essere fatta con piccoli impianti diffusi sul territorio. In sintesi: la Sicilia ha già dato e troppo a questo settore che si è rivelato terra di conquista e di colonizzazione selvaggia. Questo è il loro pensiero desumibile dal loro sito che ho già linkato. Personalmente credo che, anche se le loro posizioni sono su molti punti condivisibili, bisognerebbe impostare la discussione non su una chiusura totale, ma sulla possibilità, stante alcuni paletti inderogabili, che le trivellazioni si possano fare. Non nascondiamoci che questo potrebbe portare sviluppo economico e lavoro in Sicilia, soprattutto se si andrà verso il federalismo fiscale e la Regione dovrà fare fronte con i suoi pochi soldi, a molte spese.

Quindi cosa fare? Credo che se (e sottolineo SE) trivellazioni devono esserci, allora bisogna necessariamente bonificare la rada di augusta, garantire maggiori royalties (che sono ridicolmente basse) e queste devono essere girate totalmente alla regione sicilia e ai comuni coinvolti, leggi ambientali più stringenti, ed infine chi fa trivellazioni, operazioni riguardanti gasdotti, raffinazione di prodotti petroliferi et similia, DEVE PREVEDERE CONTROLLI OPERATI NON SOLO DAGLI ENTI A CIO’ PREPOSTI, MA ANCHE DALLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E DAI COMITATI NO TRIV. Sono punti ragionevolissimi su cui si dovrebbe innestare non il silenzio assordante di queste settimane, ma una discussione franca e aperta che coinvolga tutti i soggetti.

Trivellazioni petrolifere, ambiente e rigassificatore: tre punti aperti e collegati

Per quanto riguarda le trivellazioni in Sicilia, è già stato detto molto. Quello che mi preme sottolineare è che al momento il sistema delle royalties in Italia è estremamente vantaggioso per le aziende e lo Stato, ma svantaggioso per le zone che subiscono le estrazioni petrolifere. La Sicilia ha immense riserve di idrocarburi, per darvi una idea considerate che si stima che in Sicilia e nei suoi mari ci siano circa 150 miliardi di metri cubi di gas metano da potere estrarre, senza considerare il petrolio. Come è basato il sistema delle royalties? Intanto tutti i permessi per le prospezioni provengono dal Ministero delle Attività Produttive, inoltre se le estrazioni avvengono su terraferma, le royalties sono il 7% del valore di quanto estratto, e nelle decisioni bisogna consultare anche gli enti locali. Se le estrazioni avvengono in mare, le royalties sono solo del 4% e decide tutto il Ministero, tagliando fuori dalle decisioni gli enti locali. Molto spesso le grosse compagnie petrolifere, preferiscono mantenere un basso profilo: creano delle società fittizie con un basso capitale (massimo 10.000 euro) a cui affidare le prospezioni, in modo da attirare il meno possibile, il clamore dei media. Poi, se le prospezioni danno esito positivo, intervengono le grosse società (Shell, ENI, e così via). Riporto quanto scritto in un rapporto da una compagnia petrolifera nordamericana, la Vega Oil a proposito delle royalties. La Vega Oil Spa e’ una azienda detenuta al 100% dalla canadese Cygam Energy Inc (il presidente di Vega Oil e’ Giuseppe Rigo, mentre il presidente, CEO e direttore di Cygam Energy e’ Dario Sodero. Nomi e cognomi italiani, studi fatti in Italia): Italy’s royalty structure is one of the best in the world. For offshore permits, the state royalty on oil production is only 4%, with a provision that no royalties are paid on the first 300,000 barrels of oil production per year, per field. This represents a royalty free production on the first 822 barrels of oil per day, per field. Offshore gas production is subject to a 7% royalty, but the first 1,750 MMcf per year, per field (or approximately 4.8 MMcf per day), are also royalty free. For onshore permits, the state royalty on production of both oil and gas is a maximum of 7%, with a provision that no royalties are paid on yearly production less than 125,000 barrels of oil and 700 MMcf of gas, per field (or approximately 340 bopd and 1.9MMcf/d). The corporate tax is a maximum of 33% and there are no restrictions on repatriation of profits. Tradotto suona come: la struttura delle royalties in Italia e’ una delle migliori al mondo. Per i permessi in mare, le roylatie sono del 4%, con la clausola che non si paga nulla per i primi 300.000 barili di petrolio all’anno, per campo. Questo significa che i primi 822 barili al giorno [51.000 litri], per campo sono gratuiti. Per il gas invece, in mare, c’e’ una royalty del 7%, ma i primi 1750 MMcf [1750 milioni di cubic feet = circa 50 milioni metri cubi] per anno, per campo sono gratuiti. Su terra, le royalty statali sono al 7% e non sono dovute se la produzione annulae e’ meno 125.000 barili di petrolio [circa 19 milioni di litri] e meno di 700 MMcf di gas [19 milioni di metri cubi] per campo. Le tasse sulle societa’ sono al massimo del 33%. Nel resto del mondo, le royalties pagate sono ben più alte. E’ giusto che, se si effettuano degli scavi e delle estrazioni, le royalties siano più alte, e a beneficiarne maggiormente siano gli enti locali dove le strutture sorgono. Sarebbe bene prevedere anche una forma di compensazione per il danno ambientale e per il danno economico derivante dal fatto che le estrazioni di dirocarburi possono deprimere altri settori economici (ad esempio il turismo in primis). Inoltre le perforazioni oggi possono arrivare a profondità molto alte con i relativi rischi a livello sismico, basti considerare che a Castel Termini, l’ENI potrebbe trivellare fino a 6-7000 metri. A questa situazione aggiungiamo il danno ambientale prodotto dai poli petorlchimici realizzati in Sicilia, i metanodotti e i rigassificatori che si vogliono creare. Tutti centri altamente inquinanti che non hanno mai pagato per le bonifiche e che hanno prodotto danni eclatanti alla salute della popolazione. A tal proposito mi limito a segnalare il caso della rada di Augusta, caso eclatante per i risvolti legali che lo hanno accompagnato. Infatti la Corte di Giustizia europea si è pronunciata in merito all’eclatante caso di inquinamento della Rada di Augusta ribadendo il principio che “chi ha inquinato deve pagare”. A molti la decisione della Corte potrà sembrare banale, ma in realtà la triste storia di quello specchio di mare dimostra che non lo è. Che la Rada di Augusta sia inquinata lo si sa da sempre: il polo petrolchimico la avvelena dagli anni cinquanta e, a partire dai primi anni ottanta si sono iniziate a vedere le prime conseguenze drammatiche con un aumento, totalmente fuori dalle statistiche regionali e nazionali, delle malformazioni nei neonati venuti al mondo negli ospedali di quel pezzo di provincia di Siracusa. Questo aumento delle malformazioni creò allarme tra la popolazione e alcune denunce alla Procura della Repubblica che (nel 2001, decisamente troppi anni dopo) iniziò a lavorare a quella che fù chiamata “Operazione Mar Rosso”. Tale operazione è magistralmente sintetizzata nel Dossiere Mercurio e impianti CloroSoda di Legambiente datato 2007: E’ del gennaio 2003 l’indagine giudiziaria più clamorosa sull’area industriale di Priolo, l’“Operazione Mar Rosso” condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Procura di Siracusa. In quell’occasione furono arrestati 17 tra dirigenti e dipendenti dello stabilimento ex Enichem (ora Syndial), tra i quali il precedente e l’allora direttore, l’ex vicedirettore e i responsabili di numerosi settori aziendali, insieme al funzionario della Provincia preposto al controllo della gestione dei rifiuti speciali prodotti nell’area industriale. Il principale capo di imputazione contestato dalla Procura è stato il delitto ambientale previsto dall’articolo 53 bis del Ronchi (oggi art. 260 del Codice ambientale), per aver costituito una «associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi contenenti mercurio». Il mercurio, secondo l’accusa, veniva scaricato nei tombini delle condotte di raccolta delle acque piovane e da lì finiva in mare. Un’altra via per liberarsi illegalmente dei rifiuti – secondo la Procura – era quella della falsa classificazione e dei falsi certificati di analisi: in questo caso lo smaltimento avveniva in discariche autorizzate, ma non idonee a raccogliere quel genere di rifiuti. L’indagine, coordinata dal Sostituto procuratore della Repubblica Maurizio Musco, è stata resa possibile grazie anche alle intercettazioni telefoniche e ambientali compiute anche all’interno del petrolchimico. Dopo il sequestro giudiziario e un lungo stop l’impianto è ripartito con una sola delle tre linee per essere poi fermato definitivamente nel novembre 2005. Tuttavia, nel frattempo, era partito un altro filone di indagini a carico della Montedison, proprietaria dell’impianto di Cloro Soda che, a dar retta ad alcuni documenti segreti ritrovati all’interno degli archivi della stessa società, dal 1958 al 1980 avrebbe scaricato in mare 500 tonnellate di mercurio. La scoperta bastò a far decadere buona parte delle accuse all’Eni dell’indagine Mar Rosso, in particolare l’associazione a delinquere, l’avvelenamento doloso del mare e del pesce, le lesioni personali per le malformazioni neonatali. Restava solo il traffico illecito dei rifiuti. Tuttavia, nonostante fosse caduta l’accusa delle lesioni per le malformazioni, stranamente la stessa Eni decise di corrispondere alle famiglie dei bambini malformati e alle donne che avevano preferito abortire un rimborso, variabile per gravità della malformazione, tra i 15 mila e un milione di euro. Un caso più unico che raro, una società gravemente accusata, poi prosciolta, che risarcisce le vittime di un inquinamento che non avrebbe prodotto. Non solo la giustizia penale, però, si è occupata del triangolo petrolchimico Priolo-Melilli-Augusta: già da prima delle inchieste la legge 426/98 aveva dichiarato la rada di Priolo-Augusta “Sito di interesse nazionale ai fini di bonifica”. Restava da capire, però, a chi spettava pagare i costi della bonifica. Malformazioni a parte, infatti, l’inquinamento rimane e un po’ tutte le società del petrolchimico siracusano vi hanno contribuito. Lo Stato ha provato a far loro pagare il conto, ma ha trovato un’opposizione granitica basata sul principio che, poichè non è chiaro quanto ogni società ha inquinato, non si può stabilire in che modo spartire gli oneri della bonifica. Il Tar di Catania, infatti, ha più volte dato ragione all’industria: giusto per fare un paio di esempi, con la sentenza n. 1254 del 20 luglio 2007 ha dato ragione a Dow Poliuretani Italia Srl e con sentenza n.1188 del 17 giugno 2008 ha dato ragione a Sasol. Il Ministero per l’Ambiente, allora, aveva trovato un’altra soluzione pur di fare le bonifiche: siccome hanno inquinato tutti, i danni li paghiamo tutti. Cioè lo Stato, il pubblico, i cittadini. Per il solo sito di Priolo-Melilli-Augusta, nell’ottobre 2008, aveva stanziato ben 770 milioni di euro. La richiesta di pronunciamento della Corte di Giustizia europea, fatta dal Tar Sicilia in merito ai ricorsi di Erg Raffinerie Mediterranee, Eni-Polimeri Europa ed Eni-Syndial (analoghi a quelli già citati di Dow e Sasol), è precedente alla decisione del Ministero di far pagare la collettività e, per tanto, non la prende in considerazione. E’ lecito, a questo punto, chiedersi se i tre pronunciamenti della Corte europea rimetteranno in discussione il proposito della Prestigiacomo. Ma, ancor di più, c’è da chiedersi se mai le bonifiche si faranno visto che c’è un ulteriore problema: non è detto che si possano fare. Il dubbio, si dice, sarebbe stato insinuato dalle stesse società che, in origine, avrebbero dovuto pagare per ripulire il fondale della Rada di Augusta. Il problema, detta in soldoni, è che sul fondo c’è tanto di quel mercurio che se si prova a rimuoverlo si rischia di rimetterlo in circolo e spargerlo ancora di più a causa delle correnti. La soluzione, secondo questa teoria, sarebbe più deleteria del male stesso. La cosa molto interessante, che si creda o no all’ipotesi del rimescolamento, è che il Tar ci ha creduto: sempre nella sentenza 1254 del 20 luglio 2007 si legge che la tipologia e le modalità degli interventi come imposti dal Ministero, sarebbero affidati a tecniche non efficienti, non efficaci e/o comunque irrealizzabili e come tali anche pericolosi per l’ambiente e per la salute umana Una bella gatta da pelare visto che si aggiunge un ulteriore problema: il progetto di rigassificatore di Melilli-Priolo. Se si decideranno a farlo, andando contro il parere del Comitato Tecnico Regionale (il secondo, quello espresso dopo il netto no della cittadinanza), Erg e Shell dovranno dragare parte della Rada di Augusta rimettendo in circolo il mercurio ivi sepolto.

Una giovane storia di emigrazione: perché andare via dal proprio Paese?

di Marjela Bala

Durante gli anni del monopartitismo il governo albanese ha propagandato un’immagine negativa dell´emigrazione presentandola come `´una piaga sociale frutto del capitalismo´´ e conseguentemente ha chiuso tutte le frontiere e impedito ogni tentativo di lasciare il paese.
Nel 1990, dopo la caduta del regime di Enver Hoxha, gli albanesi sono tornati a varcare i confini nazionali dando vita ad un grande flusso migratorio verso Germania, America e soprattutto Italia. In quest´ultimo, l´emigrazione è senz’altro di natura `politico-economico´. Dopo la morte di Enver Hoxha sale al potere Ramiz Alia, che utilizza una politica basata sul cauto riformismo.
Questo però ha scatenato l´agitazione della popolazione che chiedeva dei cambiamenti radicali. Durante i suoi 5 anni di governi il paese ha subito un forte disastro economico, politico e sociale. Nel 1997 il paese è precipitato in una crisi senza precedenti, causata dal crollo delle piramidi finanziarie.
Le stesse finanziarie insieme alle società di raccolta e gestione del risparmio pubblico, con promesse di interesse elevatissimi, hanno dato agli albanesi l’illusione di un facile e rapido guadagno , spingendo molte famiglie ad investire tutto ciò che possedevano. Lo stesso presidente della Repubblica Sali Berisha, che dal 2005 ricopre la carica di Primo ministro, aveva rassicurato la  popolazione sull´importanza di tali investimenti, è pur troppo è normale che in un paese in cui non vi è più la possibilità di ricavare fonti di sussistenza dall´economia, la popolazione cade vittima delle promesse, sopratutto quando tali promesse vengono affiancate dall´avvallo dello stato. Dopo il crollo di questi investimenti molti albanesi si sono ritrovati senza soldi, senza un lavoro, senza una casa, ma soprattutto senza prospettive per il futuro e privi di fiducia nelle istituzioni politiche.

Da qui ebbero inizio tutte le ribellioni politiche e la fuga verso le coste italiane.
Ho voluto fare una breve revisione del passato per spiegare che dietro ad un extra comunitario ci sono molte difficoltà e sofferenze, non dovete pensare che sia facile fare le valige e intraprendere un viaggio verso una meta che nemmeno si conosce, lasciandoti alle spalle ricordi e parte della propria famiglia, come ho fatto io. Di solito non amo molto raccontare di me, ma da qui inizierò a mettere in evidenza sia gli aspetti positivi che quelli negativi dell´emigrazione.
Tutto è iniziato grazie a mia zia che nel 1990 ha voluto intraprendere questo viaggio da sola.
Parlando con lei mi è venuto spontaneo porle questa domanda: ” Come mai una ragazza di 24 anni, dal nulla, ha deciso di salire su quella nave, lasciando la propria famiglia e i propri affetti? “. La risposta è stata proprio questa: “Ho deciso di partire perché in quel periodo in Albania c´era il comunismo e ci veniva negata la libertà in ogni ambito. Tutto veniva deciso dal presidente e nessuno poteva contraddire le sue scelte ” Continuando la mia intervista ho scoperto che ha deciso di venire in Italia perché in quel periodo l´ambasciata italiana era la più disponibile.
Mia zia mi racconta anche che per 8 giorni sono stati all´interno dell´ambasciata con poco cibo, senza un letto dove dormire e con a disposizione un solo bagno, la dentro c´erano 850 persone! Dopo gli 8 giorni queste persone sono state portate in un campo militare a Brindisi, perché in quel periodo c´erano i mondiali e quindi non c´erano altri
posti dove poterli accogliere. Successivamente furono divisi e mandati con i pullman in paesi diversi, chi a Roma, chi a Firenze e chi a Palermo, come mia zia. Arrivata a Palermo, trovò un lavoro come cuoca in un albergo vicino Capaci, ma lei, insieme ad altri extracomunitari, fu licenziata per lasciare spazio a persone italiane. Nel 1992 mia zia rimane incinta e per motivi personali, che non mi sento di citare, si è trovata sola a fare la ragazza madre, senza un lavoro e un posto dove stare.
Ma delle suore presso una chiesa che lei frequentava qui a Palermo, la portarono in una casa d´accoglienza. Dopo il parto le trovarono un lavoro in un pensionato, con la promessa di una paga mensile di 200 mila lire, questa rimase solo una promessa, perché per 6 anni mia zia lavorò lì senza vedere neanche un soldo, ma non poteva andarsene perché almeno in quel posto aveva un rifugio per se e per suo figlio. Dopo qualche anno sia lei che il figlio ricevettero il catechismo e mia zia trovo da prima un lavoro come assistenza agli anziani e poi come cuoca in un pastificio.
Le difficoltà che lei ha avuto sono state molte soprattutto durante i primi 4 mesi di ambientazione, sia per la lingua che per le relazioni sociali e lavorative. Sfortunatamente le discriminazioni ci sono state, ma in tutti questi anni ha anche conosciuto persone che non stavano a guardare quella che era la sua origine, ma la sua personalità, la sua voglia di lavorare e il suo coraggio nel crescere un figlio completamente da sola.
Ho completato la mia intervista con questa domanda: ” Se potessi tornare indietro intraprenderesti di nuovo quel viaggio che ti ha portata fino a qui?” Mia zia mi ha risposto così: `”Assolutamente si, perché qui ho quella sicurezza e quella libertà che disgraziatamente nel mio paese non c´è nemmeno ora. L´ Albania è un posto bellissimo e mi manca davvero tanto, ma è un posto dove prevale la corruzione e vincono solo i potenti, tutti gli altri non hanno voce. Amo tutto di questo paese e non mi pento assolutamente di aver preso quella nave che mi ha portata qui´´.
Il mio percorso è stato molto diverso, lo stesso vale per mio padre. Lui è riuscito ad entrare in Italia nel 1998 dopo il 3 viaggio in motoscafo. Le prime due volte è stato preso dalla polizia e rimandato indietro, la terza volta invece, tramite un pagamento in denaro a persone che fanno questo tipo di “lavoro” è riuscito a passare il confine e con il treno ha raggiunto mia zia, la quale gli ha trovato un lavoro e una casa.
Io invece sono arrivata in Italia il 10 Febbraio 1999, dopo aver provato 6 mesi prima con documenti falsi ed essere arrivata a Bari ma riportata indietro dalla polizia. Quando sono arrivata qui non ho iniziato subito la scuola perché sono stata a casa con mio padre ad imparare la lingua, cosa che non è stata molto difficile. Mi sono ambientata abbastanza bene e mi sento parte di questo paese.
Identifico la mia identità con quella italiana, perché tutto di questo paese oramai mi appartiene: le tradizioni, l´accento, il modo di pensare ecc. Ma è anche vero che conosco e accetto le tradizioni del paese in cui sono nata. Non
mi vergogno di dire che sono albanese, ma al contrario si dovrebbero vergognare coloro che si allontano appena sentono che quella persona è straniera. La cosa che mi fa arrabbiare di più è sentire i pregiudizi e il fatto che la gente molto spesso generalizzi. Solo perché un albanese si è drogato non significa che tutti gli albanesi sono dei drogati, come solo perché un italiano ha violentato una bambina non significa che tutti gli italiani sono pedofili.
Conoscere “il diverso” è bello e permette di ampliare i propri orizzonti e le proprie conoscenze, ed è proprio la mancanza di quest´ultimo che rende gli uomini ignoranti e di conseguenza cattivi e come diceva il poeta latinoLucrezio, solo chi possiede la conoscenza è realmente felice!

Campagna “Il mio voto ha VALORE ma NON ha PREZZO”

Vendere il propio voto è illegale e contro ogni principio democratico. Il tuo voto ha un valore inestimabile, da te, e solo da te, dipende il futuro dei tuoi figli. Non mettere in saldo la tua libertà e la tua dignità di uomo e di padre prima ancora che di cittadino.

Una Scuola ai margini

di Giovanni Castellana

Mezzogiorno d’ Italia, realtà diversa, dove bisogna lottare spesso per ottenere qualcosa, realtà dove per farsi sentire, è necessario un lavoro studiato ed attento, e con esiti non sempre positivi. Anche scolasticamente parlando gli adolescenti del Sud, lavorano spesso in un ambiente difficile dove manca talvolta l’acqua, un tavolo, una sedia e alle volte nella stagione fredda non si può godere di aule riscaldate perchè i caloriferi sono vecchi e fuori uso, e di ripararli non se ne parla. Realtà che spesso formano però i ragazzi, che devono passare circa 6-7 ore, se non più, delle loro giornate in un ambiente dove studiare significa “sapersi adeguare”. Adeguandosi, già, eppure spesso i ragazzi armati di tanta volontà finiscono con il sentire come una seconda casa quell’ ambiente che, seppur fatiscente, privo di attrezzature adeguate, e/o di spazzi aperti ben curati resta pur sempre la casa della loro formazione e della loro crescita. Realtà spesso fatte di periferie, di borgate ai margini delle grandi città, dove i ragazzi sono fin da sempre invogliati a fare parte di progetti per la legalità e contro la dispersione scolastica.

Ed è nella periferia sud di Palermo, in un’ area che nell’ anno 1100 fu un’ oasi ed un sollazzo arabo, e che invece oggi va all’ occhio per un passaggio a livello azionato a mano e qualche panno steso in qualche vicolo buio che, è sito un liceo dove i ragazzi crescono e maturano con insegnamenti voluti da un uomo del sorriso come P. Pino Puglisi. Molti ragazzi non l’hanno nemmeno conosciuto, ma sanno e sentono che con lui il quartiere Brancaccio è mutato… in meglio! Un liceo, l’ Ernesto Basile, dove gli studenti usano uno scantinato umido come palestra, tavolta aprono e chiudono porte che hanno perso da qualche anno la maniglia, svolgono la ricreazione in un piazzale di cemento grezzo e semplice, eppure lo spirito di adattamento è tanto. I ragazzi non rinnegano il loro liceo, e con i pochi strumenti a disposizione  spesso giungono a livelli notevoli, riconoscimenti didattici e di competizioni sportive. Strano pensare che quel ragazzo allenatosi in una palestra fatta da una rete improvvisata sia diventato un campione di pallavolo… eppure è questo quello che accade, si cresce grazie all’ adattamento di ragazzi e docenti all’ Ernesto Basile. Una scuola che spesso non ha voce, una scuola che spesso è distante da istituzioni che cerchino di cambiare le cose: questa la realtà di un GIOVANE SUD, che ha voglia di crescere e mettersi di pari passo al resto del paese.