Archive for the ‘Politica’ Category

Gli sbarchi a Lampedusa e in Sicilia non devono penalizzare i cittadini

Nelle ultime settimane, complice i problemi legati al Nord Africa, vi è stato un aumento vertiginoso degli sbarchi di clandestini sulle coste siciliane in generale e in particolare su quelle di Lampedusa.

Per inciso, questi sbarchi sono in minima parte di libici, mentre la maggior parte sono di tunisini e altre etnie il che può provocare problemi sia per lo smistamento di queste persone che per le pratiche di eventuale rimpatrio.
Al di là del problema umanitario che rappresentano questi profughi, ci troviamo di fronte anche ad un forte danno economico che vive la Sicilia in generale e l’isola di Lampedusa in particolare.
Il dano è duplice: da un lato bisogna fare fronte alle spese che comporta la gestione dei centri di accoglienza, dall’altro al danno verso i turisti che in misura sempre maggiore iniziano a disdettare le prenotazioni, mettendo a rischio una voce importantissima per l’economia della zona.

E con l’avanzare dell’estate questo danno diverrà sempre più tangibile, mettendo a dura prova la disponibilità e la generosità siciliana. Intendiamoci, nessuno vuole affermare che bisogna rifiutare i clandestini, o non accoglierli; ma è anche vero che non possiamo neanche ignorare i problemi che questi pongono e che spesso sono subiti dalla poolazione locale. Partendo da questa considerazione, credo che sia giusto farsi promotori di precise richieste verso il governo: non basta un provvedimento una tantum, ma bisogna quantificare il danno di immagine subito, e quanto sarà necessario investire per ricostituire l’immagine presso i turisti.
Bisogna quantificare quanto sarà il danno economico subito in questi mesi, e quanto verrà subito nei prossimi mesi.
E siccome questo problema, prevedibilmente, si rirporporrà con una certa frequenza nell’immeditao (perchè la regione del Nord Africa è bel lungi dall’essere normalizzata), bisogna non solo portare avanti una serie di compensazioni economiche per le popolazioni locali, ma anche elaborare un piano di plungo periodo per gestire al megli oquesto flusso migratorio.

Per quanto riguarda il primo punto, è fondamentale istituire, da un lato una “no tax area” per le imprese locali unito anche a dei rimborsi economici per le imprese turistiche e per la popolazione. E chiedo che siano rimborsi, perchè lo strumento del “credito di imposta” è uno strumento che non sempre è efficace: intanto per utilizzarlo bisogna che la azienda fatturi, e al momento molte aziende turistiche sono a rischio collasso se non avranno immissione di capitale fresco; inoltre il credito di imposta, spesso viene promesso, ma poi parte con notevoli ritardi.

Serve invece una forma di rimborso immediato, facilmente spendibile e che sostenga davvero l’economia di chi affronta e riceve questi imponenti flussi migratori.  Se non si agirà in questo modo, si rischia che le popolazioni di Lampedusa prima, e la Sicilia poi, paghino in prima persona subendo tutto il danno economico, contrariamente ad ogni principio di equità e giustizia.

Vorrei infine fare un appunto: in questo momento il Nord Italia è atterrito dall’ipotesi di essere “invaso” da questi clandestini. Capisco questa reazione, e proprio per questo motivo sostengo che l’Italia intera non può ignorare il problema, lasciando che sia la Sicilia a pagare per tutti, se si facesse ciò, il risultato sarebbe la saturazione del sistema, l’insostenibilità dei costi, e nessuno controllerebbe più i clandestini.

Una proposta concreta per riformare i sindacati

Partiamo da un dato di fatto: rispetto al passato il mondo lavorativo è molto più frammentato e diversificato che nel passato: nuovi lavori e nuovi lavoratori, nuove forme contrattuali, e così via. Allora in questa frammentazione, il Contratto Collettivo Nazionale, rischia di non essere più rispondente alla realtà, ma anzi potrebbe portare da un lato eccessive “rigidità” per alcuni lavoratori, e lasciare, di contro, senza alcuna regolamentazione altri lavoratori.

Per ovviare a ciò, possiamo partire dalla proposta di Pietro Ichino, il quale ha proposto che il contratto collettivo nazionale (CCNL) abbia una funzione di benchmark e di disciplina “di default”, diventando un punto di riferimento applicabile solo quando non vi è un contratto stipulato da una coalizione sindacale adeguatamente rappresentativa a un livello più vicino al luogo di lavoro: cioè soprattutto al livello aziendale, ma anche eventualmente a quello regionale.
In Germania, ad esempio, fanno così: il sindacato effettivamente rappresentativo della maggioranza dei lavoratori può contrattare al livello aziendale una disciplina collettiva totalmente diversa da quella prevista nel contratto nazionale. Questa norma permetterebbe di tenere il passo con i ritmi attuali di evoluzione tecnologica e con la concorrenza globale. Ovviamente le deroghe al CCNL dovrebbero essere vincolanti per tutti i lavoratori di uno stesso stabilimento produttivo.

Ma questo non basterebbe : per le aziende oltre una certa dimensione per fatturato e per numero di dipendenti si potrebbe importare almeno in parte il sistema della cogestione tedesca, dando vita a quello che potremmo chiamare “consiglio di partecipazione” (CDP) formato pariteticamente da rappresentanti della proprietà e del management e da rappresentanti dei lavoratori scelti all’interno dell’azienda e del sito produttivo.

Il CDP non entrerebbe nel merito delle decisioni strategiche dell’azienda, ma avrebbe una funzione consultiva per esprimere un parere sulla migliore gestione dell’attività produttiva: ad esempio il CDP di Melfi, per la Fiat, si esprimerebbe su come produrre al meglio nell’impianto FIAT di Melfi.

Ovviamente per non rendere il CDP uno strumento di possibili “ritorsioni” e uno strumento per bloccare l’attività aziendale, questo avrebbe una funzione consultiva e le sue decisioni non dovrebbero essere vincolanti: se lo fossero il rischio è che una delle due parti (l’azienda o i lavoratori) ricorrano al giudice per un parere su decisioni particolarmente combattute, con il risultato di bloccare l’attività aziendale.

Altri punti fondanti delle mie proposte sono: evitare gli scioperi nei primi giorni di vertenza sindacale (copiando la germania si potrebbe mettere il limite dei 52 giorni), che lo sciopero sia proclamato a livello di singolo impianto produttivo solo se è d’accordo la maggioranza qualificata dei lavoratori (in Germania è il 75% dei lavoratori, ma per l’Italia tale livello è troppo alto, reputo puù adatto il limite del 55% o del 60%) e che i “referendum” aziendali (sul modello di Mirafiori) siano vincolanti.

In cambio di tutto ciò, l’azienda dovrebbe impegnarsi a potenziare ulteriormente le strutture di riallocazione delle persone che perdono il lavoro: il primo anno di disoccupazione è a carico dell’INPS, ma se gli anni successivi al primo fossero a carico, in tutto o in parte, dell’azienda, questa vrebbe tutto l’interesse a potenziare le strutture di riallocazione dei lavoratori e i corsi di formazione per qusti ultimi.

Consiglio Comunale Giovanile a Palermo?

E’ a tutti noto che in Sicilia e quindi anche nella nostra Città di Palermo, la rappresentanza giovanile in politica è molto bassa.

In alcuni casi nulla. Ritengo invece che, per rendere una Regione, o un Comune al passo coi tempi, sarebbe necessario aprire le “porte del potere” ai giovani che con le loro idee darebbero un contributo importante e sostanziale per della nostra Palermo.

Come fare allora a rendere parte attiva il sempre crescente numero di giovani interessati a offrire le loro idee, le loro proposte per il bene della comunità cittadina?

Una delle possibili risposte a questa domanda è presto data: in alcuni Comuni italiani è stato istituito un CCG, acronimo di Consiglio Comunale Giovanile. Un organo democratico che agisce in rappresentanza di tutti i giovani tra i 15 e i 25 anni, autonomamente istituito dal Comune per promuovere la partecipazione giovanile alla vita sociale, politica e culturale della città, allo scopo di favorire la libera espressione su tutte le questioni di pertinenza, che riguardano l’intero ambito comunale.

Inoltre il CCG può presentare proposte di deliberazione al consiglio Comunale “adulto” e alla Giunta, adotta, per poter trovare le giuste soluzioni ai problemi dei giovani, tutti gli strumenti che ritiene efficaci per la consultazione della popolazione interessata, con la quale deve tenere sempre aperto il dialogo e il confronto, e alla quale deve rendere sempre conto del suo operato; coltiva i rapporti con l’associazionismo; valuta l’impatto delle scelte adottate dal Comune e da ogni altro soggetto istituzionale sulla condizione adolescenziale e preadolescenziale.

Al giorno d’oggi si trovano Consigli Comunali dei Giovani in città relativamente piccole. Le più grandi sono Comuni come: Prato, Mantova, Avellino e Udine.

In città che contano più di 500.000 abitanti non è stato ancora istituito alcun CCG.

La Città di Palermo, dotandosi di un Consiglio Giovanile, non solo precorrerebbe i tempi divenendo grande città modello da seguire, ma balzerebbe agli onori della cronaca come Comune in cui la partecipazione giovanile c’è e dà un suo contributo in modo concreto e deciso.

 

Credo che sarebbe un buon punto di partenza per  il raggiungimento oltremodo complesso, ma indubbiamente ambizioso di una seconda, effettiva, PRIMAVERA DI PALERMO, e perché no anche di un’ ESTATE, L’ESTATE DI PALERMO!

Riceviamo e Pubblichiamo di Giuseppe Barocchieri

Aumentano i suicidi fra gli adolescenti ma ai giornali non importa, tanto la Riforma è stata approvata

E’ una notizia dell’Ansa eppure pochissimi giornali ne hanno dato ampia diffusione, sarà perchè la Riforma è stata approvata e adesso non importa più cosa fanno gli adoloscenti. Questo per sottlineare come la questione giovanile sia usata strumentalmente non soltanto dalla classe politica ma anche dalla stampa, proprio da coloro i quali al contrario, come sempre sostengono di fare, dovrebbero essere un pò la coscienza critica di questa società. Ma adesso i problemi dei giovani non servono più, la Riforma è stata approvata.

Il tricolore non si tocca, regaleremo la nostra bandiera ai bambini

Nelle ultime ore è in corso l’ennesimo teatrino leghista. Esponenti della Lega hanno dapprima annunciato che non avrebbero partecipato ai festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e poi criticato duramente il Presidente della Repubblica Napolitano  intervenuto per esortare tutte le forze politiche a rispettare i simboli dell’unità, della democrazia e della costituzione italiana. Noi non condividiamo affatto la posizione leghista che, inoltre, nulla ha a che vedere con politiche federaliste ma solo con una pura propaganda spicciola e strumentale di chi, oltretutto, dimostra di non conoscere nemmeno la storia. Per questo motivo nei prossimi giorni ci recheremo in alcune scuole elementari e doneremo ai bambini il tricolore, la nostra bandiera: simbolo dell’Italia, della Costituzione, della nostra identità e della democrazia. Riteniamo che donare simbolicamente la bandiera italiana, spiegandone il significato, a coloro i quali rappresentano il futuro del nostro Paese sia un atto che vada al di là delle enunciazioni e scongiuri nel futuro altri Bossi, Borghezio e Calderoli.

Il Presidente Napolitano e i giovani

L’inizio di un nuovo anno non può prescindere dalle riflessioni su quello che è appena passato e dalla saggezza delle parole del Presidente della Repubblica che ieri sera, nel suo discorso di fine anno ha fatto delle interessanti riflessioni (monito per la classe politica) sui giovani.

Vi invito ad ascoltare il discorso del Presidente Napolitano:

In Piazza per i nostri diritti ma a viso scoperto e mani libere

Domani dalle 9 alle 19 saremo a P.zza Politeama per raccogliere firme a sostegno di un disegno di legge regionale per l’occupazione giovanile. Con questo disegno di legge non rivendichiamo “il posto fisso” ma l’opportunità di poter costruire da noi il nostro futuro anche attraverso la realizzazione di nuove imprese e la costituzione di un fondo di garanzia che consenta ai giovani di accedere al credito. Saremo in Piazza per i nostri diritti ma a viso scoperto e mani libere perchè ItaliaUnder35 non condivide, e vuole dirlo apertamente, le recenti proteste violente che hanno visto come protagonisti tanti nostri coetanei. Non è questo il futuro che vogliamo, non vogliamo un futuro fatto di violenza, prevaricazione e distruzione e soprattutto non vogliamo essere ricordati per questo. Chi usa questi mezzi non aiuta la “causa generazionale”. Chi lotta per qualcosa di giusto lo fa senza nascondersi dietro una sciarpa e non ha bisogno di armi di alcun genere.

Una buona notizia: l’export italiano cresce, quello delle isole ancora di più

In mezzo a tante notizie pessime per l’economia italiana, proteste, scioperi, precarietà del futuro, vi èanche una buona notizia: l’export italiano cresce di gran carriera, soprattutto quello delle Isole.

Questo dato conferma quanto era emerso nei primi 6 mesi dell’anno ovvero della grande dinamicità delle regioni meridionali e insulari dell’Italia.
Nei primi nove mesi del 2010, secondo i dati Istat, tutte le ripartizioni territoriali fanno rilevare incrementi nelle esportazioni, con l’Italia insulare che fa registrare gli aumenti più consistenti (+ 47,5%), principalmente dovuti al forte incremento del valore delle vendite all’estero di prodotti petroliferi raffinati (+ 56%). Questa crescita riguarda anche l’Italia centrale e quella meridionale dove si registrano incrementi superiori alla media nazionale (pari, rispettivamente, a+16,4 e +15,6%). Se poi andiamo ad analizzare i dati dell’utlimo trimestre rispetto a quelli del trimestre precedente osserviamo ariazioni positive delle esportazioni per tutte le ripartizioni territoriali, piu’ intense per le regioni nord-orientali (piu’ 6,4%) e per le regioni nord-occidentali (piu’ 5,2%). Nel corso dei primi nove mesi del 2010, i maggiori incrementi tendenziali delle esportazioni delle regioni che contribuiscono di piu’ ai flussi commerciali con l’estero riguardano Sardegna (piu’ 56,9%), Sicilia (piu’ 42,7%), Lazio (piu’ 23,3%), Puglia (piu’ 22,6%), Trentino-Alto Adige (piu’ 19,3%) e Abruzzo (piu’ 18,9%). Si segnala una crescita inferiore alla media nazionale per la Lombardia (piu’ 12,1%), che vede ridursi leggermente la sua quota sul complesso delle esportazioni nazionali (dal 28,3 al 27,7%).
Questi risultati, però, non sono dovuti a politiche economiche dei governi locali, ma è dovuto principalmente “al forte incremento del valore delle vendite all’estero di prodotti petroliferi raffinati (più 56 per cento).” 
Questo significa che il migliroamento è dovuto solo a fattori esogeni, ma i problemi italiani: gli indici di crescita per lo più al palo, i consumi ai minimi e la disoccupazione che vola; erestano immutati e aspettano ancora una risposta in termini di politica economica.

Una proposta per i rifiuti in Sicilia

La gestione dei rifiuti a Palermo e in Sicilia è un punto problematico, anche dovuto al fatto che manca un piano organico di come smaltirli. Il risultato è che a farne le spese sono i cittadini e le forze produttive che vedono, ad esempio, i turisti e i congressisti scappare.
Siamo abituati a pensare che il problema dell’immondizia sia di difficile soluzione, oppure ci riempiamo la bocca di “raccolta differenziata” pensando che queste due parole facciano sparire il problema.

Invece il problema dell’immondizia è risolvibile, purchè si agisca con pragmatismo e con un piano organico di gestione dei rifiuti, come hanno fatto in provincia di Treviso, dove è sorto un consorzio che gestisce l’immondizia di 28 paesi, raggiungendo risultati di eccellenza sia in campo ambientale (elevate percentuali di raccolta differenziata) sia in campo finanziario (l’azienda non solo è in pareggio, ma addirittura in utile), sia in campo sociale (la Tarsu, ovvero la tassa pagata dal cittadino, è commisurata effettivamente alla quantità di rifiuti prodotta).
Questa esperienza sarebbe replicabile non solo a Palermo, ma in tutta la Sicilia, responsabilizzando i cittadini e le aziende e pianificando una serie di investimenti infrastrutturali che avrebbero il vantaggio di creare anche occupazione.

Intanto la gestione dei rifiuti dovrebbe iniziare con la raccolta porta a porta “spinta” in modo che la tariffa sia effettivamente commisurata alla spazzatura prodotta, secondo il principio “più inquini, più paghi”. Con la raccolta porta a porta spinta, vengono prelevate a domicilio i rifiuti più comuni (secco non riciclabile, umido e vegetale, carta e cartone, vetro, imballaggi in plastica e lattine) che famiglie, aziende ed enti pubblici inseriscono nei vari contenitori colorati disponibili. La raccolta sarebbe integrata da degli “EcoCentri”, ovvero centri attrezzati per la raccolta differenziata in cui sono disponibili diversi container per altri tipi di rifiuti: dagli ingombranti agli apparecchi elettrici ed elettronici, dai rifiuti pericolosi agli inerti.
La cittadinanza potrebbe diminuire il proprio amontare di rifiuti tramite il compostaggio domestico (presso questa azienda di Treviso, ad esempio, si distribuiscono dei kit per il compostaggio domestico) e l’utente paga una quota fissa e una quota variabile, diversa a seconda del numero di svuotamenti del contenitore del secco non riciclabile effettuati e rilevati tramite un transponder al momento della raccolta.

Il Consorzio  di Treviso, seguendo questa strada, si è fatto promotre anche di attività di educazione ambientale nelle scuole e ha raggiunto risultati davvero ragguardevoli:  nel 2009 la percentuale di raccolta differenziata è stata del 73,84% e una riduzione della produzione procapite di rifiuti  che da 393,74 kg/abitante*anno nel 2000, è passata a 376,33 kg/abitante*anno nel 2009. Il risultato più eclatante è stato raggiunto nei rifiuti non riciclabili: il secco non riciclabile è passato da 217 kg/abitante*anno nel 2000 a 98,43 kg/abitante*anno nel 2009.

Per quanto riguarda il compostaggio domestico, questo si può facilmente realizzare tramite vari kit, al momento attuale uno di quelli maggiormente usati è il “Composter Horto” che permette la riduzione dei rifiuti umidi urbani e la creazione di terriccio ed è realizzato interamente con plastica riciclata.

Chiaramente l’argomento è complesso e bisognerebbe trattare adeguatamente i singoli punti (le compostiere, come articolare la raccolta nel caso di palazzi o di aziende), ma la cosa più importante da chiarire è che a valle della raccolta differenziata, devono esserci i centri di riciclaggio con gli impianti di trattamento e con un termovalorizzatore.

Il termovalorizzatore serve per quei prodotti che non si possono ricilare, invece per i prodotti riciclabili (vetro, plastica, carta, umido) servono gli impainti di trattamento, che devono essere costruiti. Ovviamente questo prevede dei costi sia per costruirli che per gestirli, ma per ottimizzare i costi, si potrebbero realizzare dei centri che servano per una intera provincia o anche per più province: se ipotizziamo, per semplicità, di espandere questa politica di gestione dei rifiuti a tutta la sicilia, si potrebbero creare due poli di trattamento dei rifiuti: uno nella sicilia occidentale, l’altro in quella orientale. Nulla inoltre vieta che questi centri smaltiscano i rifiuti di altre regioni, dietro opportuno e adeguata ricompensa.

Come si vede il problema dei rifiuti ha una soluzione possibile, che può essere realizzata solo a patto di portare avanti delle soluzioni concrete, con il coinvolgimento della cittadinanza, e con gli opportuni investimenti infrastrutturali.

La Regione Sicilia dà avvio al credito d’ imposta ma solo le aziende in buona salute possono usufruirne

Parte la collaborazione tra l’agenzia delle entrate e la Regione per dar seguito a quanto stabilito dalla legge n.11 del 2009 che ha istituito il credito d’imposta. Il credito d’imposta è un beneficio fiscale, una sorta di sconto sulle tasse, concesso alle aziende che investono in ricerca, attrezzature, macchinari. Una misura in condizioni di normalità importantissima ma in una situazione di crisi la sua validità è notevolmente ridotta.  E’ impensabile infatti che un’azienda in crisi, con difficoltà economiche, possa consentirsi degli investimenti. E’ già tanto che non licenzi il suo personale. Questa misura inoltre non ha nulla a che vedere con la nascita di nuove imprese e quindi di nuova occupazione poichè comunque destinata ad imprese già esistenti e soprattutto in buona salute. Ci chiediamo quali.