Tra le “meraviglie” intellettuali che stanno sbocciando all’avvicinarsi del tanto contestato festeggiamento del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, questo “ingombrante” 17 marzo, ci mancava proprio l’ennesimo colpo basso che svelasse l’ignoranza storica in cui si versano certi nostri compatrioti. Faccio prima di tutto una premessa cui tengo: faccio parte di quella metà (o maggioranza? In fondo non importa) di italiani che ritengono il Risorgimento un’ importantissima pagina costitutiva della nostra nazione e che non smetteranno mai di apprezzare il sacrificio sincero di uomini e donne che, affascinati dagli ideali di libertà e unità, hanno voluto, col loro sangue, regalarle al nostro paese, perchè potesse nascere l’Italia, mai più unita dai tempi di Roma. Oltre al profondo sentimento di appartenenza culturale, linguistica e valoriale alla nazione, che sente chi si riconosce in questa celebrazione e in quello che comporta, a guidarmi in questa “scelta di campo” sono stati i miei studi storici all’università di Palermo con conseguenti approfondimenti sulla tematica, studi guidati da docenti come il prof. Cancila che hanno valorizzato il lungo e difficile percorso di fondazione dello stato italiano
Mi basti citare, contro chi dice che “l’italianità” è un sentimento che non è mai esistito, soprattutto prima del Risorgimento, i versi del nostro più grande poeta, che già nel Medioevo lamenta proprio questo, la mancanza della nostra unità politica: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello! (Purgatorio, VI, 76-78).
Tutto questo non significa però che io non riconosca democraticamente ad altri il diritto di dissentire: esprimere perplessità sul come sia stata condotta l’unificazione dopo le battaglie, sulla politica che ha compiuto evidentemente i suoi errori, sullo stato di profonda disuguaglianza geografica nord-sud in cui si trova ancora oggi il nostro paese e su tutte le altre questioni collegate a queste è assolutamente legittimo; ma sindacare sul sacrificio di compatrioti che sono morti per ciò in cui credevano, e, bisogna ricordarlo, per ciò in cui nel 1860 credeva buona parte degli intellettuali che hanno dato forma al nostro paese, mi sembra scorretto, come sputare nel piatto dopo avere mangiato abbondantemente, senza tenere conto di quella che, piaccia o non piaccia, è comunque la “nostra” storia.
Tutto questo “cappello” per commentare l’iniziativa, a Verona, dei Comitati antirisorgimentali che hanno proposto di abbattere la statua di Garibaldi per sostituirla con Pio IX.
E qui, mi prendo due momenti di riflessione. Primo, in linea con quanto espresso finora: accusare Garibaldi per la situazione attuale, per quello che sentiamo oggi (rigurgiti leghisti e “sensazione/certezza” di distanza e diversità tra Nord e Sud, per fare solo due esempi) sarebbe come accusare i generali italiani delle due guerre soltanto perché oggi ufficialmente ripudiamo la guerra; atteggiamento che dimostra senza dubbio una grave mancanza, a parer mio in malafede, nella percezione storica degli eventi.
Secondo, ovvero la sostituzione con Pio IX, un papa che non mi sembra brilli certo per santità! Ma vediamolo nel particolare.
Nel 1852, per compiacere l’Austria che aveva chiesto la sconsacrazione del sacerdote-patriota del profondo nord Enrico Tazzoli per poterlo impiccare, questo papa si oppose al vescovo di Mantova che l’aveva negata e lo lasciò morire lasciando addirittura che fosse sottoposto “alla raschiatura con un coltello della pelle delle dita che avevano sorretto l’ostia dell’eucarestia”!!!
Ci sono poi le famose “stragi di Perugia”, quando “insorse […] Perugia che il 14 giugno 1859 instaurò un governo provvisorio. […] Lo Stato della Chiesa reagì in maniera dura, ordinando la repressione dei moti ed inviando duemila mercenari svizzeri comandate dal colonnello Schmidt. Il segretario di stato di Pio IX, il cardinale Antonelli, autorizzò al saccheggio della città le truppe svizzere inviate per riportare entro i confini del dominio della Chiesa la città perugina: il 20 giugno 1859 questi entrarono in città e fecero strage dei rivoltosi, senza risparmiare donne o bambini. L’evento passò alla storia come le “stragi di Perugia“. I viaggiatori stranieri presenti in città, rapinati, provvidero ad avvertire del grave accaduto la stampa internazionale, avvalorando ancor più agli occhi dei cittadini europei e statunitensila causa dell’unità italiana. In seguito alla riconquista di Perugia, papa Pio IX, in considerazione del successo, promosse il colonnello Schmidt a generale di brigata.” Non c’è che dire! Inoltre, nel 1869, durante il Concilio vaticano I, espresse il dogma dell’infallibilità pontificia, che portò i cattolici romani allo scisma con i vetero cattolici che, a mio parere giustamente, se bisogna seguire le fonti, lo rifiutavano. Inoltre, dopo la presa di Roma, il Papa si ritirò nel Vaticanorifiutando di riconoscere il nuovo Stato e dichiarandosi prigioniero politico. Qualcuno a questo punto potrebbe accusarmi di evidente faziosità, giustapponendo l’agire papale, da me ricusato, a quello, certamente altrettanto violento di Garibaldi. Ma Garibaldi era un rivoluzionario, un guerrigliero ante litteram… il papa non credo proprio possa essere inserito un questo schema! Per concludere un discorso che avrebbe bisogno di ben altro spazio, credo che rifiutare di avere consapevolezza della nostra storia e non avere rispetto per chi, nel bene e nel male, ci ha condotto qui, sia un segno molto preoccupante, che dovrebbe farci riflettere (e in questo “ci” inserisco anche il governo alleato della Lega). Saremmo dovuti giungere a quest’anniversario con ben altro spirito!
Riceviamo e Pubblichiamo di Benedetta Bonanno