“ADESSO COSA FARAI?”- Un futuro tutto da creare.

di Sofia Gallo Afflitto

 

Dopo aver affrontato gli Esami di Stato, la domanda che tutti ti fanno è: “ Adesso cosa farai? ”

Questo interrogativo è molto più pesante, non solo se fatto da tanta ma tanta gente, ma anche se tu stesso hai mille dubbi che non riesci proprio a risolvere.

Qualche certezza c’è, adesso infatti si inizia a guardare il mondo in maniera diversa, senza più gli occhi da bambino. Questo nuovo modo di osservare ciò che ci circonda spesso, però, non ci piace molto, infatti ciò che c’è non è affascinante come vorremmo.

Precariato, università e disoccupazione.

Queste sono le uniche realtà per i giovani italiani.

Il lavoro è poco e se c’è, è precario. Ciò significa che non esiste futuro, in quanto un precario responsabile, non può neanche immaginarsi una casa e una famiglia propria, non crea nulla, aspetta soltanto, giustamente, che un giorno quel lavoro non sia più precario.

Lo Stato pretende che l’Italia incrementi le nascite, ma in queste condizioni chi ha la possibilità di mettere al mondo un figlio? Sono poche le coppie che hanno le possibilità economiche di crearsi “qualcosa”, l’amore non basta per creare una famiglia, una famiglia va mandata avanti e non tutti hanno la capacità di farlo.

Spesso pur di non entrare nel mondo del precariato si tenta l’altra strada, ovvero l’università.

Lo studio e il sacrificio dovrebbero servire a qualcosa, a realizzare i propri sogni e ambizioni, a creare un futuro migliore. Ma spesso non è così! Giovani cervelli laureati migrano lontano dal nostro stesso paese, lì dove ci sono tutte le possibilità per realizzare ciò che si vuole! Oppure accade che le strade, università precariato e disoccupazione, s’incontrino, tantissimi infatti sono i laureati, giovani e non, che pur avendo tutte le carte in regola, si ritrovano nel mondo del precariato.

Ho appena concluso il mio percorso liceale e per il momento nel mio futuro vedo l’università, attraverso cui spero di formarmi per poter svolgere un lavoro vero che mi dia la possibilità di dare vita ad una mia famiglia e di soddisfare le mie personali aspettative.

Le paure sono tante, lo ammetto, ma credo anche che sia normale  che ogni cosa nuova possa generare paure e perplessità, l’importante è avere un minimo di obiettivi nella vita, piccoli sogni da inseguire, pur incontrando tanti ostacoli.

Alla domanda che mi pongo: ” Adesso cosa faccio? ” Rispondo: ” Spero di entrare nella facoltà di Scienze Politiche dell’ateneo della mia città, farò il possibile per farcela ”

E’ vero che studiare non basta, la fortuna gioca la sua parte, ma importante è anche il modo con il quale affrontiamo e guardiamo la vita.

Il futuro si chiama così forse perché non dovremmo neanche pensarlo e immaginarlo, aspettarlo e basta. Mentre aspettiamo proviamo ad impegnarci, con la speranza che il nostro futuro sia come lo vogliamo.

Infine la cosa che mi preoccupa di più è la passione! I giovani italiani, hanno dei sogni, delle passioni, o partono tutti dal presupposto che in questo paese non sia possibile realizzare ciò che si vuole?!

Dobbiamo sognare sempre, crederci sempre, ma dobbiamo soprattutto far cambiare le cose, senza più accontentarci, ma cercando di mantenere i nostri stessi desideri in vita, solo così potremo “ribellarci”.

Pagare i clandestini serve a qualcosa?

 Notizia recente, i clandestini verranno pagati per essere rimpatriati: in pratica si darà ad ogni clandestino circa 1700 euro oltre il rimpatrio, affinchè possano farsi una nuova vita nel loro paese di origine.

Indipendentemente se questi soldi sono dell’Italia o della UE (come sostiene Frattini), non si può non avere perplessità su questa decisione, che presenta almeno due criticità.
La prima sorge se pensiamo che anche molti italiani vivono in condizioni di indigenza, e quindi sorgerebbe spontanea l’obiezione sulla destinazione di questi soldi: nons arebbe meglio destinarli agli italiani? Ci son otante famiglie italiane bisognose, tanti giovani senza lavoro, tante scuole fatiscenti; quante di queste situazioni si potrebbero aiutare con questi soldi?
Lo so, è un discorso egoista, ma è anche vero che non esistono bisognosi di serie A e bisognosi di serie B, e gli italiani indigenti hanno tanto bisogno quanto i clandestini.

La seconda obiezione è sull’uso che di questi soldi ne potrebbero fare i clandestini rimpatriati. Siamo sicuri che questi soldi verranno usati per delle attività nella patria di origine dei clandestini, o piuttosto i clandestini non decideranno di riprovarci di nuovo? In questo caso i soldi che noi elargiamo, andranno dritti nelle tasche degli scafisti e dei moderni schiavisti.
Inoltre, sorge un altro dilemma: qualora si spargesse la voce che i clandestini fossero “pagati”, è prevedibile che questo incoraggerebbe altre persone a prendere il mare e divenire a loro volta clandestini, ingigantendo il fenomeno, invece di ridurlo.
Ma allora quale è la soluzione?
La soluzione sarebbe che questi soldi vengano indirizzati non al clandestino, ma nei luoghi di origine e, sotto controllo degli operatori internazionali, vengano usati per sviluppare in loco delle infrastrutture per incoraggiare lo sviluppo economico di quegli stessi paesi.
Il vantaggio sarebbe che, creando opportunità di lavoro, la spinta ad emigrare diminuirebbe, inoltre le nostre stesse aziende potrebbero avvantaggiarsi dello sviluppo economico di quei paesi, che potrebbero divenire nuovi mercati per le nostre merci.
Questa soluzione credo che sia molto più utile e garantisca risultati migliori nel medio e nel lungo periodo, al posto di una soluzione presa sull’onda del momento e i cui effetti e conseguenze sono difficilmente prevedibili.

Borsa di Studio “Aldo Moro”

Questo pomeriggio è stata presentata a Palazzo delle Aquile dall’Officina delle Idee, la Borsa di Studio “Aldo Moro”, rivolta agli studenti degli Istituti superiori.
Ritenendo meritevole l’iniziativa, abbiamo pensato di inserire in alto nel nostro blog il Bando di partecipazione, che speriamo possaessere diffuso e scaricato per una numerosa partecipazione di tanti studenti che ritengono altrettanto utile l’iniziativa.

Gli sbarchi a Lampedusa e in Sicilia non devono penalizzare i cittadini

Nelle ultime settimane, complice i problemi legati al Nord Africa, vi è stato un aumento vertiginoso degli sbarchi di clandestini sulle coste siciliane in generale e in particolare su quelle di Lampedusa.

Per inciso, questi sbarchi sono in minima parte di libici, mentre la maggior parte sono di tunisini e altre etnie il che può provocare problemi sia per lo smistamento di queste persone che per le pratiche di eventuale rimpatrio.
Al di là del problema umanitario che rappresentano questi profughi, ci troviamo di fronte anche ad un forte danno economico che vive la Sicilia in generale e l’isola di Lampedusa in particolare.
Il dano è duplice: da un lato bisogna fare fronte alle spese che comporta la gestione dei centri di accoglienza, dall’altro al danno verso i turisti che in misura sempre maggiore iniziano a disdettare le prenotazioni, mettendo a rischio una voce importantissima per l’economia della zona.

E con l’avanzare dell’estate questo danno diverrà sempre più tangibile, mettendo a dura prova la disponibilità e la generosità siciliana. Intendiamoci, nessuno vuole affermare che bisogna rifiutare i clandestini, o non accoglierli; ma è anche vero che non possiamo neanche ignorare i problemi che questi pongono e che spesso sono subiti dalla poolazione locale. Partendo da questa considerazione, credo che sia giusto farsi promotori di precise richieste verso il governo: non basta un provvedimento una tantum, ma bisogna quantificare il danno di immagine subito, e quanto sarà necessario investire per ricostituire l’immagine presso i turisti.
Bisogna quantificare quanto sarà il danno economico subito in questi mesi, e quanto verrà subito nei prossimi mesi.
E siccome questo problema, prevedibilmente, si rirporporrà con una certa frequenza nell’immeditao (perchè la regione del Nord Africa è bel lungi dall’essere normalizzata), bisogna non solo portare avanti una serie di compensazioni economiche per le popolazioni locali, ma anche elaborare un piano di plungo periodo per gestire al megli oquesto flusso migratorio.

Per quanto riguarda il primo punto, è fondamentale istituire, da un lato una “no tax area” per le imprese locali unito anche a dei rimborsi economici per le imprese turistiche e per la popolazione. E chiedo che siano rimborsi, perchè lo strumento del “credito di imposta” è uno strumento che non sempre è efficace: intanto per utilizzarlo bisogna che la azienda fatturi, e al momento molte aziende turistiche sono a rischio collasso se non avranno immissione di capitale fresco; inoltre il credito di imposta, spesso viene promesso, ma poi parte con notevoli ritardi.

Serve invece una forma di rimborso immediato, facilmente spendibile e che sostenga davvero l’economia di chi affronta e riceve questi imponenti flussi migratori.  Se non si agirà in questo modo, si rischia che le popolazioni di Lampedusa prima, e la Sicilia poi, paghino in prima persona subendo tutto il danno economico, contrariamente ad ogni principio di equità e giustizia.

Vorrei infine fare un appunto: in questo momento il Nord Italia è atterrito dall’ipotesi di essere “invaso” da questi clandestini. Capisco questa reazione, e proprio per questo motivo sostengo che l’Italia intera non può ignorare il problema, lasciando che sia la Sicilia a pagare per tutti, se si facesse ciò, il risultato sarebbe la saturazione del sistema, l’insostenibilità dei costi, e nessuno controllerebbe più i clandestini.

Il Padre Nobile….del figlio candidato

 La linea del nostro blog è sempre stata estranea dal prendere posizioni su persone o fatti che potessero denigrare singoli partiti o individui  ma non possiamo questa volta evitare di sottolineare un caso emblematico e che ci incute parecchio timore: lo spirito di autoconservazione della classe politica. E’ davvero triste che proprio in un momento in cui si parla tanto di ricambio generazionale, di terza repubblica, del dopo Berlusconi, le pagine dei giornali contengano ancora dichiarazioni da “prima repubblica”. Ecco che prevale lo spirito di autoconservazione che addirittura ti fa negare anche quello che avevi sostenuto qualche mese prima. Oggi, dopo decenni, ci ritroviamo a parlare di un soggetto, un grande soggetto politico, con una carriera a dir poco lodevole e a cui va la nostra solidarietà per aver subito una grave ingiustizia per esser stato arrestato e per esser stato anni in galera da innocente. Ma caro On. Mannino non possiamo essere noi a pagare per le ingiustizie commesse da altri, noi dai Padri Nobili ci aspettiamo di essere accuditi, cresciuti, sostenuti e poi essere lasciati….liberi, senza rancore, odio, timore di essere dimenticati. Noi dai Padri Nobili ci aspettiamo che parlino del nostro futuro, del futuro di tutti noi e non solo di quello dei propri figli. Questo ci saremmo aspettati da lei. Di certo non barattare il suo valore e la sua dimensione politica per due posti in lista, il suo e quello di suo figlio. Forse dovremmo augurarci di avere tutti parenti importanti per far strada in questa Italia o volete ancora prenderci in giro con l’ultima invenzione di un “nuovo” partito di Lombardo aperto ai giovani e alle donne? Conosciamo l’ennesimo specchietto per le allodole e rispediamo tutto al mittente. Caro On. Mannino, non ci importa difendere nessuno, ma anche i cavalli di razza vanno in pensione. Non si preoccupi, non rimangono soli, se è questo che teme. Chi ha un valore difficilmente viene dimenticato anche quando non ricopre posti autorevoli nè decide di farli ereditare a chi porta lo stesso cognome. Ci lasci lo spazio che meritiamo On. Mannino, lei e chi come lei, continua a pensare che la politica, le istituzioni, il posto in lista e in parlamento vi appartengano. Basta. Vi supplichiamo basta. Le macchine del tempo non sono mai esistite.

Tricolori per gli alunni del liceo palermitano E.Basile.

Oggi, presso il Liceo Basile di Palermo, è stata affrontata una tematica molto interessante, ovvero l’Unità d’Italia, molti gli alunni presenti e che hanno dato attivamente vita ad un dibattito ricco di pensieri giovani proprio come gli stessi partecipanti.

Se si potesse fare una statistica per stabilire quale argomento è stato maggiormente discusso durante l’anno 2011, sicuramente al primo posto della classifica troveremmo “L’unità d’Italia”.

Spesso però i confronti, le parole, rimangoni nell’ aria, senza che codesti diventino parte integrante del nostro fare quotidiano.

Presso il liceo palermitano il messaggio diffuso è stato proprio questo, ovvero, discutere serve a fare nostri concetti fondamentali per un cittadino di uno stato democraticamente unito, dove le leggi hanno lo scopo di tenere viva questa unità, spesso discussa e che alcuni vorrebbero cestinare, facendo diventare l’Italia un paese senza identità, dove le differenze sono utili alla divisione e non all’unità stessa.

Ogni territorio senza dubbio è diverso da un altro, ma non per questo bisogna sentirsi diversi e lontani dai cittadini che vivono nella città più lontana dalla nostra, ogni differenza è utile a farci capire come il nostro paese sia ricco di colori e aspetti differenti solo ed esclusivamente per arricchirci l’uno con l’altro.

La nostra stessa Bandiera, il Tricolore, è composto da tre differenti colori, totalmente differente l’uno dall’altro.

Ci sono individui, italiani, che non si riconoscono in questo simbolo, che potrebbero anche farne a meno e invece c’è chi ha attaccato la bandiera italiana nel proprio balcone di casa ed è fiero della sua nazione.

La bandiera non deve rimanere solo uno strumento, da utillare per mezzi propagandistici, è un simbolo che appartiene alla nostra cultura di italiani e come tale, questo simbolo, deve essere fatto nostro.

I giovani vanno educati affinchè facciano proprio il valore dell’Unità Nazionale e proprio per favorire ciò, sempre oggi, a questi stessi alunni, che si sono cimentati in questo piacevole dibattito, sono state consegnate delle Bandiere Italiane, per adornare di italianità le loro case ma anche i loro stessi cuori.

Officina delle Idee:Al Giardino della Zisa per la Giornata Mondiale del Rene.

In occasione della Giornata Mondiale del Rene, indetta il 10 Marzo, presso Piazza Castelnuovo, sarà possibile effettuare gratuitamente controllati alla pressione arteriosa e  del peso corporeo, saranno effettuati anche esami delle urine e consegnati i risultati con eventuali indicazioni.

Lo stesso avverrà il 12 Marzo, davanti al Giardino della Zisa di Palermo, grazie all’iniziativa dell’ Officina delle Idee, in collaborazione col Prof. di Nefrologia della Facoltà di Medicina Maurizio Li Vecchi. Per tutti coloro che fossero interessati, possono recarsi sul luogo dalle ore 9.30 alle 13.00.

NON TOCCATE GARIBALDI!

Tra le “meraviglie” intellettuali che stanno sbocciando all’avvicinarsi del tanto contestato festeggiamento del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, questo “ingombrante” 17 marzo, ci mancava proprio l’ennesimo colpo basso che svelasse l’ignoranza storica in cui si versano certi nostri compatrioti. Faccio prima di tutto una premessa cui tengo: faccio parte di quella metà (o maggioranza? In fondo non importa) di italiani che ritengono il Risorgimento un’ importantissima pagina costitutiva della nostra nazione e che non smetteranno mai di apprezzare il sacrificio sincero di uomini e donne che, affascinati dagli ideali di libertà e unità, hanno voluto, col loro sangue, regalarle al nostro paese, perchè potesse nascere l’Italia, mai più unita dai tempi di Roma. Oltre al profondo sentimento di appartenenza culturale, linguistica e valoriale alla nazione, che sente chi si riconosce in questa celebrazione e in quello che comporta, a guidarmi in questa “scelta di campo” sono stati i miei studi storici all’università di Palermo con conseguenti approfondimenti sulla tematica, studi guidati da docenti come il prof. Cancila che hanno valorizzato il lungo e difficile percorso di fondazione dello stato italiano

Mi basti citare, contro chi dice che “l’italianità” è un sentimento che non è mai esistito, soprattutto prima del Risorgimento, i versi del nostro più grande poeta, che già nel Medioevo lamenta proprio questo, la mancanza della nostra unità politica: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello! (Purgatorio, VI, 76-78).

Tutto questo non significa però che io non riconosca democraticamente ad altri il diritto di dissentire: esprimere perplessità sul come sia stata condotta l’unificazione dopo le battaglie, sulla politica che ha compiuto evidentemente i suoi errori, sullo stato di profonda disuguaglianza geografica nord-sud in cui si trova ancora oggi il nostro paese e su tutte le altre questioni collegate a queste è assolutamente legittimo; ma sindacare sul sacrificio di compatrioti che sono morti per ciò in cui credevano, e, bisogna ricordarlo, per ciò in cui nel 1860 credeva buona parte degli intellettuali che hanno dato forma al nostro paese, mi sembra scorretto, come sputare nel piatto dopo avere mangiato abbondantemente, senza tenere conto di quella che, piaccia o non piaccia, è comunque la “nostra” storia.

 Tutto questo “cappello” per commentare l’iniziativa, a Verona, dei Comitati antirisorgimentali che hanno proposto di abbattere la statua di Garibaldi per sostituirla con Pio IX.
E qui, mi prendo due momenti di riflessione. Primo, in linea con quanto espresso finora: accusare Garibaldi per la situazione attuale, per quello che sentiamo oggi (rigurgiti leghisti e “sensazione/certezza” di distanza e diversità tra Nord e Sud, per fare solo due esempi) sarebbe come accusare i generali italiani delle due guerre soltanto perché oggi ufficialmente ripudiamo la guerra; atteggiamento che dimostra senza dubbio una grave mancanza, a parer mio in malafede, nella percezione storica degli eventi.
Secondo, ovvero la sostituzione con Pio IX, un papa che non mi sembra brilli certo per santità! Ma vediamolo nel particolare.
Nel
 1852, per compiacere l’Austria che aveva chiesto la sconsacrazione del sacerdote-patriota del profondo nord Enrico Tazzoli per poterlo impiccare, questo papa si oppose al vescovo di Mantova che l’aveva negata e lo lasciò morire lasciando addirittura che fosse sottoposto “alla raschiatura con un coltello della pelle delle dita che avevano sorretto l’ostia dell’eucarestia”!!!

Ci sono poi le famose “stragi di Perugia”, quando “insorse […] Perugia che il 14 giugno 1859 instaurò un governo provvisorio. […] Lo Stato della Chiesa reagì in maniera dura, ordinando la repressione dei moti ed inviando duemila mercenari svizzeri comandate dal colonnello Schmidt. Il segretario di stato di Pio IX, il cardinale Antonelli, autorizzò al saccheggio della città le truppe svizzere inviate per riportare entro i confini del dominio della Chiesa la città perugina: il 20 giugno 1859 questi entrarono in città e fecero strage dei rivoltosi, senza risparmiare donne o bambini. L’evento passò alla storia come le “stragi di Perugia“. I viaggiatori stranieri presenti in città, rapinati, provvidero ad avvertire del grave accaduto la stampa internazionale, avvalorando ancor più agli occhi dei cittadini europei e statunitensila causa dell’unità italiana. In seguito alla riconquista di Perugia, papa Pio IX, in considerazione del successo, promosse il colonnello Schmidt a generale di brigata.” Non c’è che dire! Inoltre, nel 1869, durante il Concilio vaticano I, espresse il dogma dell’infallibilità pontificia, che portò i cattolici romani allo scisma con i vetero cattolici che, a mio parere giustamente, se bisogna seguire le fonti, lo rifiutavano. Inoltre, dopo la presa di Roma, il Papa si ritirò nel Vaticanorifiutando di riconoscere il nuovo Stato e dichiarandosi prigioniero politico. Qualcuno a questo punto potrebbe accusarmi di evidente faziosità, giustapponendo l’agire papale, da me ricusato, a quello, certamente altrettanto violento di Garibaldi. Ma Garibaldi era un rivoluzionario, un guerrigliero ante litteram… il papa non credo proprio possa essere inserito un questo schema! Per concludere un discorso che avrebbe bisogno di ben altro spazio, credo che rifiutare di avere consapevolezza della nostra storia e non avere rispetto per chi, nel bene e nel male, ci ha condotto qui, sia un segno molto preoccupante, che dovrebbe farci riflettere (e in questo “ci” inserisco anche il governo alleato della Lega). Saremmo dovuti giungere a quest’anniversario con ben altro spirito!

Riceviamo e Pubblichiamo di Benedetta Bonanno

La riforma della Gelmini taglia le gambe ai precari della scuola

Vorrei fare qui due brevi riflessioni sulla scuola, argomento delicato sul quale il nostro governo, da quando è salito in carica, non ha fatto altro che deliziarci con sparate fuori dal mondo: contro le materie umanistiche, bollate come inutili e sacrificabili nella nostra società tutta presa dal consumo; contro i docenti, considerati ignoranti tout court, senza distinzione, e mangia-risorse pubbliche a tradimento (e quelli che sono pure meridionali, sono stati bellamente equiparati quasi a zotici contadini alla conquista del nord tramite i poveri studenti, portatori di una presunta cultura nordica superiore che rischia di essere inquinata da questi apporti; è bello vedere come le solite sperequazioni nostrane cancellino ogni insegnamento e riflessione, ormai acquisiti in ogni campo, sul valore assoluto del confronto multiculturale anche fra aree diverse del nostro paese).
Il mio primo pensiero va al TFA, ovvero il famoso e sospirato tirocinio formativo attivo che, dopo 3 anni di promesse, spiragli e false attese, ha finalmente visto la luce tramite un decreto il 31.01.11.
Sostanzialmente potremmo dire che vengono riconfermate le Sissis, concentrate stavolta in un solo anno invece che 2, con il consueto sbarramento numerico in entrata, cioè le prove da superare. Tutte le esperienze di confronto che ho avuto personalmente con chi le ha frequentate, mi hanno indotto a pensare che non ci fosse proprio bisogno di loro, in realtà. Non è ripetendo per 2 anni le stesse materie fatte all’università (di questo trattavasi e, temo, si tratterà ancora adesso con il nuovo TFA) che impari ad essere un insegnante, a mio parere. Semmai bisognerebbe incrementare i tirocini nelle scuole, nel vero laboratorio dove il futuro docente si troverà giornalmente ad affrontare problemi e difficoltà di vario tipo, per “insegnargli” a insegnare.
La Gelmini ha inoltre introdotto una norma che, a mio modesto modo di vedere, ma non credo proprio di essere la sola a pensarlo, obbliga tutti i laureati magistrali o specialisti che vogliono entrare al TFA ad avere come prerequisito per sostenere gli esami d’ingresso una conoscenza della lingua inglese di livello B2, per qualunque area di insegnamento, anche matematica o italiano (vedi l’art. 3).
E qui mi vengono spontanee tre considerazioni. Una senza dubbio positiva: senza dubbio giusto che il ministro si ponga un problema troppo spesso trascurato nella nostra scuola, ovvero la mancanza, da parte soprattutto dei docenti più anziani, formati secondo altro schemi di pensiero e in epoche differenti dal nostro “mondo della globalizzazione”, di una buona conoscenza della lingua straniera più diffusa in Europa e nel mondo, l’inglese. Questo ha un’utilità profonda, e permetterebbe agli insegnanti di avere maggiore apertura mentale, essere realmente in contatto col “mondo” da tutti i suoi punti di vista, cominciando dall’informazione, oltre a una migliore consapevolezza e capacità di ciò che ci circonda, fondamentale nel rapporto con menti giovani, che devono essere aperte il più possibile al plurilinguismo e alle nuove tecnologie.
Però mi chiedo: perché B2? E’ un livello piuttosto alto nel portfolio europeo delle lingue. Voglio dire, per comprendere un testo inglese nelle sue linee essenziali, leggere un quotidiano o navigare nei vari siti d’informazione e cultura, posso affermare, basandomi sulla mia esperienza personale (posseggo infatti un livello B1 di inglese) che non è necessario. Soprattutto, e questo è il punto cruciale della questione sul quale vorrei attirare maggiormente l’attenzione dei lettori, il paradosso che mi sgomenta, quando ci sono docenti, non di italiano si intende (!), che non conoscono bene la nostra grammatica! Che senso ha l’inglese B2 quando permettiamo ad una persona che non conosce bene l’italiano di insegnare matematica o disegno? Forse spiegherà in inglese? Dunque, PRIMA sottoponiamo i docenti a un test selettivo di lingua italiana, dato che è insita nella buona riuscita di questa professione, la capacità di spiegare correttamente servendosi di espressioni appropriate nella nostra lingua, POI dedichiamoci alla preparazione “accessoria”. Qualcuno potrebbe obiettare che ci saranno comunque i test d’ingresso, per tutti, in italiano: si, ma test d’ingresso pensati con quiz a crocetta! Non penso proprio quindi aiutino in tal senso.
L’ultima riflessione chiude il cerchio con quanto detto all’inizio: è l’ennesima amara considerazione sull’idea della scuola che il governo sta portando avanti, peraltro dopo averne “modificato” la struttura a proprio piacimento, con la scusa di modernizzarla: le parole di Berlusconi che, per ingraziarsi una parte ben riconoscibile del suo elettorato, alla “carlona”, condanna la scuola pubblica accusando sempre i soliti colpevoli, i docenti, di instillare negli studenti idee contrarie (leggi “iperlaiche”) ad un certo tipo di morale. Ma non abbiamo forse la libertà di scegliere fra i diversi tipi di scuola presenti nel nostro territorio? E la nostra democrazia non dovrebbe garantire proprio questo, cioè la sopravvivenza di modelli alternativi di istruzione tra i quali poter scegliere secondo le proprie idee? Termino con la considerazione personale in cui credo di più, per far andare avanti il nostro paese: la sua ricchezza e varietà culturali siano patrimonio che ci arricchiosce, e ci unisce spingendoci a conoscere l’Altro, a riflettere su noi stessi e rispettare le diversità, imparando a convivere, tutti tesi verso lo stesso ideale, l’ottimo funzionamento del nostro stato a garanzia dell’armonia civile e dei valori sui quali è stato fondato, a prezzi incalcolabili, come ci insegna la Costituzione.

Riceviamo e pubblichiamo di Benedetta Bonanno

Una riflessione sul decreto Milleproroghe

 Dopo la visione del programma LE IENE il 23.02.2011, format televisivo a metà fra il serio e il faceto, mi sono sovvenute alcune brevi riflessioni sul tanto decantato decreto soprannominato “milleproroghe” per l’abilità con la quale i nostri politici, di destra e di sinistra, sono riusciti a riempirlo con “leggine” riguardanti i campi più svariati, messe assieme come covoni di paglia per poterle fare approvare in modo indiscriminato e confuso, confondendo e disorientando come sempre i “fruitori” finali, cioè noi cittadini.

Ed è stato divertente vedere la iena di turno intervistare onorevoli del PDL e del PD chiedendo loro se fosse giusto pagare le multe per un cittadino, e tutti ovviamente calavano la testa invocando giustizia e legalità. Ben diverso il discorso quando il coriaceo intervistatore ha sottoposto loro una delle belle magagne del decreto che stavano facendo approvare: ovvero la riduzione delle multe comminate ai partiti per via dell’imbrattamento dei muri civici con i loro manifesti elettorali affissi indiscriminatamente – in tempi selvaggi di campagne elettorali – senza alcun rispetto delle norme sugli spazi legittimi per questo tipo di pubblicità. Invece delle cifre corrette – certamente salate – infatti il decreto restringe la somma che i partiti dovranno pagare ad appena 1000 euro. Come se noi cittadini, prendendo cento multe per eccesso di velocità, ce le facessimo ridurre a una e pagassimo simbolicamente – frodando lo stato – solo quella.

Nessun intervistato ha saputo controbattere alla giusta domanda dell’inviato del programma televisivo: i cittadini devono pagare l’importo totale e voi invece volete usufruire di uno sconto che non vi è dovuto? Quale messaggio passa? Certamente quello che i politici appartengano ad una casta diversa di privilegiati, che quando sbaglia, non paga. O paga meno di quanto dovrebbe. A mio parere, questa interpretazione è l’unica possibile ed è oltremodo dannosa per chi si vanta di rappresentarci e di decidere per noi.

Ricordo la risposta sincera – l’unica – di un politico che ha detto allontanandosi qualcosa come: voi le dovete pagare, noi no!!!

Altro punto del decreto che vorrei mettere in luce e criticare è l’aumento del prezzo del cinema. Capisco che l’industria sia in crisi, ma questa crisi non è stata forse acuita dai tagli del governo? Insomma, come sempre dobbiamo pagare noi spettatori-cittadini, incapaci di ribellarci e far sentire le nostre voci di dissenso, l’ennesima politica sbagliata di questa maggioranza??? Non è allontanando la gente dal cinema che lo si aiuta, tutt’altro. Bisognerebbe invece prestare maggior attenzione a questa importante espressione culturale del nostro paese, sostenendola nel modo più adeguato.

Riceviamo e Pubblichiamo di Benedetta Bonanno